venerdì 8 marzo 2013

Ecofeudo: modello di vita futuro



Attuale, proprio di questi giorni, è la notizia di un progetto in Costa Rica mai realizzato, un sogno, come dice il diretto interessato. Un Ecofeudo, totalmente autosufficente. E' il modello futuro di vivere in armonia con l'ambiente e con se stessi.

Non possiamo cominciare a consumare l'energia secondo i canoni attuali. Tra non molto il petrolio e il gas naturale saranno troppo scarsi e troppo costosi per essere utilizzati a scopi non essenziali. Lo stesso si potrà dire, tra qualche secolo, del carbone.
Un problema urgente e drammatico è poi quello delle conseguenze ambientali dell'impiego dei combustibili fossili. L'energia nucleare non ha mantenuto le promesse iniziali e incontra una diffusa opposizione da parte del pubblico.

L'obiettivo principale di una nuova strategia energetica dev'essere quindi l'aumento del rendimento energetico in tutti i settori dell'economia, a cominciare da quello domestico. In un economica energetica davvero sostenibile, la popolazione vivrebbe in abitazioni ad alto rendimento energetico che sfruttano l'energia solare e perfettamente autosostenibili. Inoltre, l'aumento del rendimento energetico costituisce il metodo più diretto e più redditizio per constrastare il riscaldamento del globo e l'inquinamento atmosferico.

Calcoli ottimistici ci indicano che tutto il globo beneficerebbe di questa situazione, potendo continuare ad impiegare il medesimo quantitativo di energia senza però ridurre la produttività dei paesi ricchi e soprattutto consentendo la crescita economica di quelli più poveri.



Link del progetto Ecofeudo: www.ecofeudo.com

giovedì 7 marzo 2013

E adesso..conquistiamo l'Antartide?



Lontanissimi e ricoperti di ghiaccio perenne, erano un tempo le zone meno "disturbate" della Terra, ma le cose oggi stanno cambiando. Ora che le loro ricchezze naturali sono state riconosciute, sul futuro incombe il dualismo tra la necessità di proteggere ecosistemi unici al mondo e quella sfruttare risorse di importanza vitale.

In genere consideriamo le due zone polari simili tra loro ma in realtà sono molto diverse.

L'Artico è essenzialmente un mare ghiacciato e chiuso, il più piccolo degli oceani,circondato da terre.

L'oceano artico ospita alcune delle nostre aree più pescose, che arrivano a fornire quasi un decimo del pescato globale. Per secoli, i piccoli di foche artiche sono stati uccisi a bastonate per la loro pelliccia pregiata, mentre quelle adulte vengono oggi ancora cacciate adducendo come pretesto la protezione dei banchi di pesce. Inoltre, le riserve minerarie sono notoriamente vaste e sono già in via di sfruttamento. Nell'artide si trovano alcuni principali giacimenti mondiali di carbone, ferro, rame, piombo e uranio.

Greenpeace cerca di bandire le trivellazioni offshore e la pesca distruttiva che minacciano la casa degli orsi polari, con una petizione su questo sito: Petizione Greenpeace



L'Antartide, al contrario, comprende un vasto oceano aperto che circonda una terra ricoperta di ghiacci. Gli esploratori sono cominciati ad arrivare in Antartide già nella prima parte del secolo scorso, cominciandone a rivendicare i territori, ma nel 1961 entrò in vigore il Trattato Antartico, che regolò la presenza dei paesi che operano sul continente, rinunciando all'utilizzo per scopi bellici, nucleari e di deposito scorie radioattive.

Nei primi anni 70, in coincidenza con la prima grande crisi petrolifera, i risultati delle prime ricerche scientifiche dettero quasi per certa la presenza di petrolio in Antartide, portando i paesi membri del trattato a discutere sull'eventuale estrazione di combustibili fossili. I geologi ritengono che vi siano più di 900 giacimenti minerari, ma la maggior parte si troverebbe in zone ricoperte interamente da ghiacci e quasi inaccessibili.
Inoltre i fautori della conservazione si cominciarono a preoccupare, sostenendo che l'attività estrattiva, per quanto ben controllata, avrebbe inevitabilmente danneggiato un territorio incontaminato che custodisce la storia dell'atmosfera , dell'evoluzione e del clima terrestre.

Alla fine i sostenitori delle attività estrattive (Stati Uniti, Giappone, Regno Unito), furono costretti a modificare il loro punto di vista e nel 1991 è stato siglato, ad integrazione del Trattato Antartico, un accordo di particolare rilievo: il Protocollo sulla Protezione Ambientale. Tale accordo, noto anche come Protocollo di Madrid, ha dichiarato la messa al bando per 50 anni di ogni sfruttamento minerario dell'Antartide e ha imposto la valutazione dell'impatto ambientale per qualsiasi attività in programma

Fino al 2048 quindi ( il trattato è entrato in vigore nel 1998), i pinguini possono stare tranquilli, ma dopo quella data il protocollo potrà essere abolito o modificato.

Inoltre, il recente aumento del surriscaldamento globale, ha portato ad una crescita degli interessi sull'uso delle risorse antartiche. Se il cambiamento climatico modificasse il continente, renderebbe più accessibili i  grandi giacimenti petroliferi e di carbone, spalancando la porta alle nazioni per le estrazioni del petrolio del futuro. 

Viene da domandarsi allora, se surriscaldamento globale e petrolio futuro, non siano strettamente collegati tra di loro...


mercoledì 6 marzo 2013

L'agricoltura è in mano al petrolio


La struttura agraria mondiale somiglia sempre più a un gigantesco supermercato dove grandi società controllano il rifornimento di semi e fertilizzanti, la vendita dei prodotti e il gusto dei consumatori. Così stabiliscono che cosa coltivare e dove, che cosa debba essere mangiato, e da chi.

E qui sta l'intoppo. Le megasocietà infatti finiscono per aver praticamente il monopolio in certi settori chiave del commercio alimentare. A partire dal 1970, le grandi compagnie petrolifere hanno rilevato le piccole imprese che commerciavano in sementi, imponendo la coltivazione di piante alimentari che hanno bisogno di quantità enormi di fertilizzanti sintetici, di antiparassitari e di altri addittivi derivati dal petrolio, che oltre ad impattare negativamente sull'ambiente (argomento che approfondiremo sul blog) , scoraggiano un agricoltura futura più razionale senza l'uso di derivati dal combustibile fossile. Inoltre, la graduale industrializzazione del Novecento , che sicuramente ha permesso una maggior produttività del lavoro, ha introdotto l'uso di fattori industriali (macchine agricole, trattori, fertilizzanti chimici). Cosa succederà quando i pozzi di petrolio si prosciugheranno? Le compagnie rispondono che si porranno il problema quando si presenterà, e che comunque sono imprese private a scopo di lucro, e non istituti di beneficenza.

La recente scarsità di petrolio, o meglio di caro-prezzi, ha provocato un rapido incremento dei prezzi agroalimentari in tutto il mondo. 
Il petrolio diventerà sempre più caro, fino a che solo una minoranza di imprese, con tutta probabilità nord americane, potranno permettersi di comprarlo.

Il legame agricoltura - petrolio è più forte di quanto si possa pensare. Ma dovremmo fermarci un attimo, ragionare su cosa stiamo facendo e per quanto lo potremmo ancora fare, e infine capire che l'agricoltura tradizionale, quella senza petrolio,  è la soluzione ai problemi della fame.


martedì 5 marzo 2013

Il paradosso dell'alimentazione


Indubbiamente produciamo abbastanza cibo da mandare a letto tutti con la pancia piena. Tuttavia, decine di milioni di esseri umani muoiono di fame, e altre centinaia di milioni soffrono di denutrizione.

Il contrasto assurdo tra fame e sovrabbondanza all'interno di molti paesi in via di sviluppo è aggravato dal consumo eccessivo nell'emisfero nord. Un quarto degli alimenti non viene mai consumato: va a male nei supermercati o nel frigorifero, o buttato direttamente nella spazzatura. Nel nord la malnutrizione consiste nell'eccessivo consumo di zuccheri, grassi , prodotti animali, che provocano malattie di cuore e diabete e solo negli Stati Uniti almeno un terzo delle persone dopo i 40 anni possono essere classificate come obese.

E' questo lo scandalo della "linea della cintura" che si allarga troppo per i ricchi e si restringe troppo per i poveri. In Europa o in Nord america perfino un gatto domestico mangia ogni giorno più carne di tanti cittadini del Terzo Mondo.


Come nutrire allora un mondo affamato?


Oggi, quasi la metà della produzione agricola viene utilizzata come mangime per gli animali da carne, e nei paesi più ricchi, come gli Stati Uniti, circa il 70%.

Ma è giusto utilizzare una così grande percentuale di terreni agricoli per il foraggio?

Per produrre 1 caloria di carne di animali nutriti a cereali, occorrono almeno 10 calorie: un sistema ben poco razionale. Le nazioni in via di sviluppo potrebbero utilizzare direttamente i cereali come cibo per gli individui. Infatti, il 95% di tutte le nostre esigenze alimentari, è soddisfatto da soltanto una trentina di varietà vegetali e i 3/4 della nostra dieta è basata soltanto su otto raccolti (mais, patate, grano, riso, mais, orzo, legumi, avena e segale)
Inoltre solo 1/4 della popolazione mondiale si nutre principalmente di carne, e la maggior parte di essi si trova nei paesi a sviluppo avanzato, mentre i paesi in via di sviluppo, malgrado possiedano circa il 60% del bestiame mondiale, utilizzano solo il 20% di tutta la carne e il latte che hanno.

Perché quindi i paesi in via di sviluppo non utilizzano direttamente i cereali ma usano i terreni agricoli per il foraggio da animali da carne?
Perché le terre sono sfruttate principalmente per il mercato estero, per l'esportazione, a beneficio di pochi e non della popolazione, argomento già trattato nel post "I raccolti per la vendita. Produrre per vendere: vantaggio o schiavitù?".

Fino a che i paesi industrializzati, con le loro diete ad alto contenuto di carne, incoraggeranno l'assurda coltivazione di cereali foraggeri, la terra verrà troppo lavorata e la gente continuerà ad avere fame. E finché certi paesi in via di sviluppo privilegeranno l'industria, l'urbanizzazione e i raccolti da esportare, senza curarsi della popolazione locale e delle condizioni dei piccoli agricoltori, si avranno le stesse conseguenze.
La terra può produrre raccolti in grado di nutrire tutti, si tratta solo di definire con chiarezza le nostre priorità.





lunedì 4 marzo 2013

I raccolti per la vendita




Produrre per vendere: vantaggio o schiavitù?

Produrre per vendere può essere una manna ma anche una sventura per i paesi del Terzo Mondo.

In alcuni casi i raccolti rappresentano un forte incentivo al processo di sviluppo, perchè forniscono al paese esportatore grossi quantitativi di valuta estera capaci di aiutare un'economia emergente.
Ma molto più spesso questi raccolti tendono a rallentare lo stesso processo di sviluppo, perchè la terra sarebbe meglio sfruttata se fossero coltivate piante alimentari essenziali per l'affamata popolazione locale, anzichè quelle non essenziali destinate agli stranieri.

E' difficile però per le economie emergenti liberarsi dal vincolo del "raccolto per vendita". 
Per la maggior parte dei paesi del Terzo Mondo fare da sé è praticamente impossibile poichè il loro mercato interno è troppo piccolo e le loro risorse troppo limitate. Se si precludessero la possibilità di commerciare sul mercato mondiale, non avrebbero modo di procurarsi gli strumenti e le nuove tecnologie di cui hanno bisogno per progredire.

Quindi dove sta la soluzione?

I raccolti destinati al mercato mondiale forniscono fondi ai paesi produttori e si dividono in due categorie: i raccolti essenziali, come per esempio cereali e legumi che sono prodotti soprattutto al Nord e smerciati in tutto il mondo, e i raccolti meno essenziali , come il caffè e il tabacco, prodotti soprattutto nel Sud ed esportati al Nord. Questo rispecchia un legame commerciale di tipo coloniale storicamente ereditato.

Alcuni dei raccolti meno importanti hanno prezzi relativamente alti sul mercato e fruttano spesso più denaro di quello che si potrebbe ricavare coltivando piante alimentari essenziali. Ma la trappola sta nell'avverbio "spesso". I prezzi infatti sono incostanti. Quando la domanda sale, i prezzi sono buoni, e altri agricoltori realizzano "colture per la vendita", rinunciando a quelle di piante essenziali. Ma quando la domanda cala, i prezzi crollano e l'agricoltore si ritrova senza via d'uscita.

Le nazioni in via di sviluppo, devono capire bene quali siano le loro esigenze essenziali. In troppi paesi dell'emisero del sud l'agricoltura è subordinata allo sviluppo urbano e all'industrializzazione. Questi paesi dovrebbero scegliere con criterio le coltivazioni da indirizzare alla vendita, in modo da non dipendere troppo da ogni singolo bene di esportazione. 

Sono abbastanza pochi i leader del Terzo Mondo che hanno la volontà, o ancor meno, i mezzi per rifiutare un aiuto che li allontana dalla strategia più importante: quella volta a nutrire una popolazione sempre più affamata.

domenica 3 marzo 2013

Proteggiamo il suolo


E' qualcosa di meraviglioso, il terreno.

Un ettaro di suolo di buona qualità, in una zona temperata, può contenere fino a 300 milioni di piccoli invertebrati: acari, millepiedi, insetti, vermi ed altri microrganismi. Senza di essi, il suolo non riuscirebbe a trasformare l'azoto, il fosforo e lo zolfo e renderli assorbibili dalle piante.

In un pugno di terra c'è una realtà biologica molto più complessa di quella che si potrebbe trovare sull'intera superficie di Giove.
Tuttavia investiamo più denaro per esplorare i pianeti che per scoprire come funzionino, qui sulla Terra, i nostri fondamentali meccanismi di sopravvivenza.


Il processo di formazione del suolo è lento. Nelle migliore delle ipotesi, perchè si formino 30 cm di terreno ci vogliono 50 anni. Ma in media, quando il suolo si origina a poco a poco dalla roccia madre, perchè si formi un centimentro possono occorrere dai 100 ai 1.000 anni.
Purtoppo fattori naturali ed artificiali possono facilmente invertire questo processo, degradando il suolo in una frazione molto ridotta rispetto al tempo che impiega a formarsi.


Il degrado ha molte cause, ma le peggiori sono l'erosione e l'eccessivo pascolo.
E' molto probabile che negli anni a venire disboscheremo più foreste,sfrutteremo per il pascolo più praterie ed elimineremo terre per favorire il processo urbano. Pochi problemi sono così gravi, anche se poco discussi, come quello della scomparsa del suolo. Ogni anno perdiamo circa 11 milioni di ettari di terra arabile.
L'attività umana accelera molto i ritmi di erosione naturale. Pratichiamo un irrigazione poco razionale, usiamo eccessivamente i pascoli e quel che è peggio, eliminiamo la protezione degli alberi. Il suolo portato via dall'acqua o dal vento finisce nell'oceano o nei laghi, come se precipitasse in un grande "pozzo", per non tornare mai più.



Non tutto il suolo che copre la Terra libera dai ghiacci è adatto alla coltivazione. Anzi, di questi miliardi di ettari, circa il 13% lo è. Il resto è troppo arido, umido, privo di sostanza nutritive, troppo sottile o troppo freddo. Ma l'importante non è quanta terra abbiamo, ma come la usiamo. Approfondirò più avanti nel blog la questione della gestione irrazionale del terreno. Se vogliamo incoraggiare la produttività, dobbiamo proteggere il suolo.






Dalla crisi al progresso


L'essere umano può essere considerato come il punto culminante del processo evolutivo o come il suo più grande errore.

In un certo senso l'umanità stessa sta diventando una specie di supertumore maligno sulla faccia del pianeta, una cellula cancerosa che si dimostra vitale e in grado di riprodursi con straordinario vigore, ma anche eccezionalmente stupida perchè finisce con uccidere proprio l'ospite da cui dipende la sua sopravvivenza.

Possiamo ancora fare qualcosa? Non è la prima volta che la Terra si trova di fronte ad una crisi, anzi, alcune volte ha perfino tratto beneficio da periodici sconvolgimenti. Se non fosse stato per la drammatica scomparsa dei dinosauri,per esempio, i mammiferi avrebbero avuto scarsa possibiltà di predominio sul pianeta.

Dalla crisi quindi può scaturire il progresso, sempre ammesso che l'impeto delle trasformazioni non si spinga troppo avanti e provochi la catastrofe.
Se l'essere umano fallirà la prova, allora finirà con l'essere scartato dalla legge evolutiva.

Mentre spesso si può giungere all'adattamento con una politica di piccoli passi, ci sono volte in cui bisogna compiere un dietrofront e ricorrere ad una decisione più drastica. Esemplare è il racconto di alcuni scolari francesi e della rana.

Gli scolari avevano catturato una rana e l'avevano gettata in una pentola di acqua bollente. La rana era balzata fuori di scatto, una reazione istantanea in un ambiente inadatto. Ma quando gli scolari avevano buttato la rana in una pentola di acqua fredda e l'avevano lentamente riscaldata, la rana aveva continuato a nuotare in tondo, adattandosi man mano al calore sempre maggiore...finchè, bollita a dovere, la morte l'aveva raggiunta.